Rileggere Lolita a New York. Azar Nafisi: "Gli studenti protestano, ma non sanno per cosa. Vedo molta confusione nei loro sogni" (di G. Belardelli)

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Quando parla delle proteste filo-palestinesi in corso nelle università occidentali, Azar Nafisi, l'autrice di Leggere Lolita a Teheran, si sposta in continuazione con la mente tra l'Iran, la sua terra d'origine, e gli Stati Uniti, il suo paese d'adozione. Se il punto di vista di ogni essere umano è unico, il suo lo è in modo particolare: iraniana, ex studentessa negli Usa durante le proteste contro la guerra del Vietnam. Poi professoressa di letteratura a Teheran, dove vive il sogno della rivoluzione. Il risveglio è però un incubo al quale resiste per 18 anni, prima della scelta dolorosa di emigrare. La brillante carriera accademica, il successo mondiale dei suoi libri (pubblicati in Italia da Adelphi), non bastano a lenire una sofferenza che riemerge oggi nella forma di "un'ansia estrema" per il futuro della democrazia.

Professoressa Nafisi, quali pensieri e quali sentimenti le suscitano le proteste pro-Gaza che hanno paralizzato i campus americani?

Ovviamente, credo nel diritto di ogni individuo in questo paese a esprimere le proprie idee e opinioni. A tal riguardo, penso che la maggior parte degli studenti - anche se non la totalità - stia praticando il diritto alla libertà di espressione. Sento anche molta compassione per il popolo palestinese che è stato vittimizzato sia da Israele sia dalla sua stessa leadership. Detto questo, credo che le università e i college americani abbiano perso un'opportunità. La polarizzazione, l'eliminazione di chi non è del proprio campo, è esattamente ciò che Hamas e Netanyahu vogliono. Le università e i campus sono luoghi di conoscenza, e la conoscenza è pericolosa per i tiranni.

È proprio di questo che parla il suo ultimo libro, Leggere pericolosamente (Adelphi 2024), che verrà premiato a settembre a Pordenone per la 17esima edizione del Premio Crédit Agricole "La storia in un romanzo". Cosa le sarebbe piaciuto vedere, invece, nelle università occidentali?

Avrei voluto vedere uno scambio di idee su questa situazione, un tentativo di raggiungere una comprensione, la ricerca di un dialogo anziché un gridare alla pace, ma agire come in guerra. Mi rattrista molto il fatto che abbiamo perso questa occasione per avere un dialogo serio. In questo modo, i veri vincitori diventano Netanyahu e Hamas: per loro è funzionale che noi viviamo in questo caos che hanno creato. Oggi sappiamo che Israele era al corrente dei piani d'attacco di Hamas da circa un anno, e non ha fatto nulla per impedirlo. Allo stesso modo, Hamas sapeva che un'azione così crudele, selvaggia, senza precedenti avrebbe provocato una risposta mortale da parte di Israele, e non ha fatto nulla per proteggere la popolazione di Gaza. Fa male vedere come tutte le parti continuino a ignorare le vere vittime, sia palestinesi sia israeliane. Penso che accanto alla pace dovremmo chiedere anche il rilascio di tutti gli ostaggi. Dovremmo davvero dare al dialogo una possibilità.

Perché, secondo lei, non si è stati capaci di un approccio più profondo?

Perché abbiamo sostituito la ragione e la comprensione con emozioni come la rabbia e l'indignazione. È giusto sentirsi indignati di fronte a eventi come questi, ma è importante dare un contesto all'indignazione, dirigerla verso qualcosa di costruttivo. È ciò che il popolo iraniano ha fatto, pagando un costo altissimo. Penso che gli studenti [in America e in Europa] non capiscano quale dovrebbe essere il ruolo dell'accademia: dovrebbe darci la verità, intesa come conoscenza. È molto più facile dividere il mondo in buoni e cattivi, anziché comprendere che la realtà è ambigua e complessa. Ci vuole lucidità per agire sulla base della comprensione anziché sull'onda della vendetta. La vendetta porta sempre all'odio e l'odio ci spinge nella guerra, offuscando l'immaginazione. La lettura di un libro - che sia di storia o di narrativa - arricchisce per la sua capacità di rivelare la verità, senza l'obiettivo di creare schieramenti politici. Il romanzo è democratico per natura: dà l'opportunità di parlare a tutti i personaggi, anche i cattivi hanno una voce. L'ambiguità che l'immaginazione porta con sé riflette la complessità della vita: ci fa interrogare non solo sul mondo, ma su di noi. È molto più facile vestire sempre i panni del buono e chiamare nemico chiunque la pensi diversamente. È facile disumanizzare gli altri per raggiungere i propri scopi. Non c'è differenza tra una madre israeliana e una madre palestinese il cui figlio è stato ucciso. Entrambe vivono la stessa tragedia. Ci sono gruppi - come The Parents Circle o Women Wage Peace - composti da persone che hanno perso qualcuno di molto vicino, eppure non parlano la lingua della vendetta, ma quella dell'amore. È così che ricordano e celebrano la memoria dei loro cari. Avremmo bisogno di più spazi del genere, ma sono in pochi a conoscerli.

C'è un passaggio, in Leggere Lolita a Teheran, in cui immagina di dare un consiglio a un suo studente rivoluzionario: faccia attenzione a cosa desidera, faccia attenzione ai suoi sogni; un giorno potrebbero avverarsi. È qualcosa che ha imparato sulla sua pelle, nella differenza tra l'esperienza americana e quella iraniana?

Mi ricordo di quando, da studentessa in Oklahoma, partecipavo alla proteste contro la guerra in Vietnam. Più tardi, ho provato diversi tipi di vergogna per quella me stessa: la guerra in Vietnam era senza dubbio sbagliata, ma il problema è che molti di noi avrebbero difeso i Viet Cong, le cui atrocità non ci interessavano. Avremmo dovuto criticare il governo americano, ma anche i Viet Cong. È lo stesso in questa guerra: dovremmo criticare sia il governo israeliano sia Hamas. Gli estremi si nutrono l'uno dell'altro, la guerra va a loro vantaggio.

Torniamo a Teheran, nel '79. Quando ha scoperto, con orrore, che gli stessi slogan pronunciati dagli studenti in America - "Morte a questo", "Morte a quello" - si trasformavano puntualmente in realtà.

Negli Usa quegli slogan erano simbolici, quasi astratti, e li ripetevamo con tanta più virulenza quanto più sapevamo che tali sarebbero rimasti. Nella Teheran del 1979, invece, quegli stessi slogan si trasformavano in realtà con macabra, spietata precisione. Mi sentivo indifesa, impotente: tutti i sogni si stavano avverando, e non c'era via di scampo. In Leggere Lolita parlo di quanto mi sono pentita per i miei comportamenti. Non volevo lo Scià, ma non sapevo cosa desideravo al suo posto. Ho imparato che vale la pena sostituire qualcosa per avere qualcosa di meglio, anziché farsi trasportare dalla rabbia e dagli impulsi.

Come le appaiono i desideri dei giovani che oggi protestano nei campus?

Vedo molta confusione in questi sogni. E mi rattrista l'idea che se ne possono fare i giovani in Iran.

Mi spieghi meglio.

In Iran il regime ha organizzato delle manifestazioni per mostrare che gli iraniani supportano il movimento studentesco con i soliti slogan, "Morte all'America" e così via. La realtà che mi raccontano i miei amici lì è molto diversa: gli iraniani sono arrabbiati perché questo regime li sta uccidendo, con l'aiuto di Hamas; eppure, questo movimento non mostra nessuna compassione verso di loro.

C'è qualcosa che gli studenti occidentali, nati con tutti i comfort della democrazia, farebbero bene a ricordare?

Dovrebbero ricordare che questa libertà di espressione di cui parlano oggi non è un dono divino: le persone sono morte per questo e continuano a morire. Mentre noi parliamo, ci sono persone che vengono incarcerate, torturate e uccise solo per il fatto di difendere ed esercitare la loro libertà di parola. Penso che le nuove generazioni non dovrebbero solo essere grate per questo, ma diventare dei custodi della libertà di espressione e della democrazia. Il movimento attorno a Donald Trump è così pericoloso per la democrazia in America. Nel mio libro [Leggere pericolosamente] parlo di come la narrativa si nutra di verità, mentre i tiranni vivono di bugie. Da Trump a Khamenei, confiscano la nostra storia e la nostra cultura, impongono le loro leggi repressive su di noi. In Iran o in Afghanistan le persone, soprattutto le donne, stanno combattendo contro tutto questo. Dovrebbero farlo anche i ragazzi e le ragazze in America: se vogliono un cambio di politica in Palestina, dovrebbero comprendere la storia decennale che c'è dietro. Credo che i giovani dovrebbero prestare attenzione anche alle loro situazioni domestiche. La democrazia in America è in pericolo. Abbiamo bisogno di usare tutti i mezzi possibili per difenderla. Sono molto spaventata.

Anche perché Trump - avvertono gli analisti - sta capitalizzando sulla paura. Pensa che questo possa avere un impatto sulle elezioni di novembre?

Penso che la rabbia costante annebbi il giudizio, distraendo da ciò che è essenziale. Per molti versi tutti i miei libri sono una critica dell'America, ma comprendo che questo è un paese democratico e che la democrazia ha bisogno di essere nutrita. Il futuro è nelle mani di questi giovani, dipenderà da come lo sapranno sognare. Ho paura per questa generazione e vedo le responsabilità della mia: non abbiamo tramandato i valori necessari a comprendere l'importanza della democrazia e della libertà. Questi giovani si sentono isolati e arrabbiati, e posso capirli. L'America è diventata così materialistica. Gli studenti pagano a volte fino a 70mila dollari all'anno per avere un'istruzione superiore. Ogni grande democrazia dovrebbe offrire educazione e assistenza medica gratis. Ci sono due cose che minacciano i nostri college: una è il corporate mindset, per cui si va al college per guadagnare soldi, non conoscenza; l'altra è l'ideologia, che vediamo oggi nel caso della guerra tra Israele e Hamas. Le lezioni sono diventate politicizzate e ideologiche; la conoscenza è secondaria. In pochi ormai conoscono la storia americana, e non c'è da stupirsi, dato che i primi a ignorarla sono certi membri del Congresso.

Perché è importante che il sogno di una 19enne iraniana, consapevole del "potere sovversivo di una ciocca di capelli", sia compreso dai suoi coetanei in America o in Italia?

Perché quel sogno è vita. Il movimento nato nel 2022 in Iran con lo slogan "Donna, vita, libertà" ha avviato un nuovo modo di guardare alle proteste e alle rivoluzioni. Le persone che sono scese in strada a Teheran erano consapevoli del rischio di essere arrestate, torturate e persino uccise. Tante sono state ammazzate, ma il movimento sta continuando. Ci sono donne e ragazze che ogni giorno rischiano la vita perché scelgono di andare in giro senza l'hijab. Il regime ha riempito le strade di Teheran e altre città di proiettili; gli iraniani hanno rimpiazzato il suono delle pallottole con la musica e le danze. È così che stanno supportando il movimento, non attraverso la violenza ma rifiutando di rinunciare alla loro umanità e alla loro individualità. Mi piacerebbe che gli studenti americani ed europei sapessero di più dei loro coetanei in Iran; penso che avrebbero molto da insegnarsi a vicenda.

È come se i sogni dei giovani iraniani e quelli dei giovani occidentali fossero guidati da due movimenti diversi: nel primo caso, si tratta di andare verso, di costruire una vita più libera; nel secondo, di andare contro. Due danze diverse, appunto…

È esattamente così. L'odio si concentra sulla distruzione, l'amore su ciò che si vuole costruire. I giovani iraniani stanno combattendo il sistema con le canzoni. È qualcosa che mi commuove profondamente. Parlano di ciò che vogliono, mentre gli altri parlano di quello che non vogliono. Si combatte per raggiungere cosa? Qual è la parte costruttiva di queste proteste? Io non la vedo, per questo parlo di opportunità perduta.

Forse il problema è che non realizziamo quanto fragili siano le nostre democrazie, e quindi le nostre libertà?

È questo il punto. La libertà è fragile e non è mai data per intero. La libertà, come la felicità, deve sempre essere inseguita. Quando smettiamo di rincorrerla, diventiamo cinici rispetto alla democrazia, come lo sono diventati molti americani. È qui che si annida il pericolo. A volte mi sveglio con una sensazione di ansia estrema. Continuo a immaginare cosa potrebbe succedere tra qualche mese in America, e mi sento male.

Deve essere molto doloroso, dopo aver lasciato il suo Paese per un altro che era una promessa.

Alcuni dei miei amici dicono: dove ce ne andiamo da qui? Non c'è via di fuga. Dobbiamo pagare il prezzo per ciò che abbiamo trascurato. Dobbiamo pagare il prezzo per aver dato per scontata la libertà. Spero soltanto che presteremo più attenzione alla delicatezza del momento in cui siamo. Mi dà speranza sapere che ci sono posti, a cominciare dall'Iran, dove le persone immaginano qualcosa che vogliono costruire. Il regime può uccidere molte persone e smantellare organizzazioni, ma non può uccidere tutti quelli che scendono in strada a ballare, a cantare, a togliersi il velo. Il regime è confuso, la sua violenza è il frutto della paura, non della forza.

Se c'è una cura, qual è?

Continua a essere quella che auspicavo alla fine di Leggere Lolita a Teheran: proteggere l'immaginazione come un diritto universale. L'America è stata costruita sull'immaginazione e sulla ricerca di conoscenza. Quella stessa immaginazione oggi è considerata pericolosa, poiché rende possibile ciò che sembra impossibile, dice la verità mentre smaschera le bugie. Ma l'immaginazione è anche un luogo di potere: può rimanere viva anche dietro le sbarre.