Tra la Francia e il Portogallo, un doppio viaggio nel tempo «on the road» | il manifesto

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Questo romanzo di Marco Ferrari, Alla rivoluzione sulla due cavalli (Laterza, pp. 168, euro 18), già uscito da Sellerio e diventato un film con la regia di Maurizio Sciarra, Pardo d'oro al Festival del cinema di Locarno nel 2001, è un doppio viaggio nel tempo, in quello della Storia ma anche della memoria dell'ultima rivolta contro la dittatura militare più longeva d'Europa. Quello di andata comincia nell'aprile del 1974 in una fascinosa Parigi comunarda in bianco e nero come le pellicole di Francois Truffaut quando due giovani, Victor e Vasco, uno portoghese e l'altro italiano, partono a bordo di una Citroen due cavalli gialla alla volta di Lisbona, inseguendo la storia per vivere come molti altri giovani la Rivoluzione dei garofani.

«ERA L'AUTO CHE GUIDAVA i cortei del '68 e del '69 in Europa, il tetto scoperto, un megafono, il muso puntato verso il muro armato dei Crs con i caschi, i manganelli e i fucili». Sulla strada passano a Bordeaux per cercare di caricare Maria, ex fidanzata di Victor, e il viaggio politico di formazione, che segnò profondamente la generazione del '68 ma anche quella successiva, è un on the road alla Kerouac, un vagabondaggio anarchico e liberatorio pieno di avventurosi deragliamenti, i due amici attraversano Francia, Spagna e Portogallo, varcano frontiere, sognanti «salgono i tornanti dei Pirenei nell'incerto matrimonio tra la luna e il sole», mentre dalla radio arrivano notizie degli scontri di piazza nella capitale portoghese. Scritto con una lingua molto orale, una prosa fatta anche di molti dialoghi, il libro conserva la freschezza del reportage nella presa diretta e coglie appieno il conio di un'epoca, quegli «anni giovani» fatti di sogni e utopie rivoluzionarie, tempi di ribellione e speranza.

Tra parlatori da teatro dell'assurdo con poliziotti e guardie di confine, rocamboleschi scontri armati con un gruppo di neonazisti, cene in trattorie sgangherate, alla fine i protagonisti raggiungono la frontiera portoghese.

QUANDO ARRIVANO a Lisbona «brandelli di stoffe rosse penzolano dai balconi delle case», incontrano migliaia di persone in piazza, «donne e ragazzi che si abbracciano, che ballano e cantano la libertà». Vengono in mente le foto di Uliano Lucas, quelle dei marinai festosi di Mario Dondero, Grândola Vila Morena suonata dal bandoneon di Daniele Di Bonaventura in Garofani rossi.

È il 25 aprile 1974, il giorno della rivoluzione popolare, quando le forze armate progressiste misero fino al regime di Antonio Salazar.

Cinquant'anni dopo Vasco torna a Lisbona, suona alla porta di Victor, il clima è malinconico, la scrittura è diventata intimistica, «non hanno bisogno di parole mentre si rivedono dopo tanti anni, nel tacito accordo di un'intesa fatta di occhiate e di un tacito abbraccio». Nel mondo di adesso «le falci hanno le punte abortite, i martelli hanno perso la mazza metallica, le stelle sono spuntate. Che Guevara non ha più la barba, Lenin il pizzo e Mao le orecchie». Poi la due cavalli riparte per un altro viaggio, per un altro sogno.