Italiani stacanovisti: uno su dieci lavora almeno 49 ore a settimana (quarto posto nell'Ue)

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la rilevazione

di Alessandro Vinci

Italiani solo «pizza, spaghetti e mandolino»? Decisamente no, a giudicare dagli ultimi dati Eurostat riguardanti gli orari di lavoro dei cittadini Ue. Diffusi il primo maggio dalla Commissione europea, hanno infatti messo in luce come in Italia quasi un occupato su dieci - il 9,6%, per la precisione - nel 2023 abbia dedicato alla propria professione una media di almeno 49 ore settimanali, di fatto aggiungendo così un'altra giornata lavorativa all'orario standard di 40 ore. E se tale dato non dovesse sembrare poi così elevato, si consideri che la media dei 27 Paesi dell'Unione si è attestata al 7,1%. Non a caso tassi più alti sono stati registrati solo in Grecia (11,6%), a Cipro (10,4%) e in Francia (10,1%). Viceversa, sul versante opposto della classifica hanno trovato spazio Bulgaria (0,4%), Lituania e Lettonia (entrambe 1,1%, con la terza repubblica baltica - l'Estonia - a seguire a quota 2%). 

Autonomi più dei dipendenti, uomini più delle donne

Analizzando il dato italiano, non può non saltare all'occhio una differenza fondamentale: quella che intercorre tra i dipendenti e gli autonomi (liberi professionisti, partite Iva e affini). Mentre infatti tra i primi a lavorare almeno 49 ore alla settimana è stato il 3,8% delle persone, tra i secondi lo ha fatto addirittura il 27,4% di chi non ha dipendenti a carico e il 46% di chi li ha. Nulla comunque di cui stupirsi, essendo simili gap riscontrabili anche a livello comunitario, con valori rispettivamente ammontati al 3,6%, al 23,6% e al 41,7%. Quanto poi alle differenze di genere, sono gli uomini ad aver fatto ricavare percentuali più alte: 12,9% in Italia e 9,9% nell'Ue a fronte del 5,1% e del 3,8% delle donne. Di conseguenza non stupisce come la categoria più stacanovista in assoluto sia risultata quella degli autonomi di sesso maschile con dipendenti, che nel nostro Paese rasentano le 50 ore settimanali più della metà delle volte (50,8%, media complessiva al 46,3%).

Il rovescio della medaglia

Detto che in Italia la professione più interessata dall'overwork è si è dimostrata quella dei manager - 40,5% tra autonomi e dipendenti, più del doppio della media Ue -, se da un lato una simile attitudine al lavoro potrebbe costituire un motivo di vanto nazionale, dall'altro è bene ricordare che esagerare non fa bene né al corpo né alla mente. A metterlo in luce nelle ultime settimane, la docente dell'Università di New York Wen-Jui Han in un ampio studio pubblicato sulla rivista Plos One. E al netto della (purtroppo diffusa) realtà dei «working poor», parte dei quali è costretta a lavorare più del dovuto per arrivare a fine mese, proprio su questo tema la la psichiatra e psicoterapeuta Tiziana Corteccioni aveva spiegato l'anno scorso al Corriere: «Per quanto possa sembrare strano, generalmente i workaholic non si rendono neppure conto di esserlo. Quando tuttavia accettano di ridurre le ore da dedicare al lavoro avvertono la differenza, riuscendo a superare il problema. In quest'ottica contare su una vita sociale appagante può fare la differenza, anche in via preventiva».

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